venerdì 26 ottobre 2012

I criticoni

Quando inizi a suonare sai già che saranno molte le cose che potrebbero impedirti di diventare una rock star di livello planetario, ma tutto puoi immaginare tranne che l'ostacolo maggiore sarà la tua band, e un suo componente in particolare: il "criticone". Poco studiato e mai menzionato in nessun manuale, la sua presenza è tuttavia più frequente di un giro di Do. Ce n'è infatti uno in ogni gruppo.

Il criticone fiuta subito la presenza di musicisti che stanno per mettere su una band e con le modalità più disparate riesce sempre a intrufolarsi, anche se alle volte non sa neppure suonare qualcosa.
Fin da subito il suo intento esplicito è quello di fracassare i coglioni agli altri in pezzettini minuscoli, creare scompiglio, abbassare il morale della truppa; criticare appunto oltre il limite del ragionevole (ma spesso anche dell'irragionevole) e raggiungere così il suo scopo ultimo: vanificare i sogni di gloria della band.

In un primo tempo opera con discrezione, compiendo una critica indiretta al lavoro del gruppo grazie a una tattica collaudata da generazioni di criticoni: "la pausa cicchìno" durante le prove.
Tutti sanno che per un qualche imperscrutabile motivo le prime esperienze musicali sono caratterizzate dalla più totale disorganizzazione: è molto difficile riuscire a trovarsi tutti nello stesso posto per provare, e l'idea di arrivare anche alla stessa ora è semplicemente un'utopia. Non solo: accordare gli strumenti è un'impresa di proporzioni titaniche. Per le sole 10 corde di un basso e di una chitarra parte sempre una mezz'ora di attento e minuzioso lavoro al cui confronto la progettazione delle piramidi sembra ben poca cosa.
Dopo che si è dovuto aspettare 90 minuti perchè la band sia al completo e gli strumenti siano pronti si riesce quindi a suonare malamente 3 volte l'intro di "Smells like teen spirit" (fermandosi tutte le volte per decidere in che punto entra la batteria) quand'ecco che il nostro criticone spunta fuori con la frase "Eh dai, ora ci vuole proprio una pausa cicchìno!". Non s'è fatto ancora un cazzo e non si sa da che cosa si dovrebbe fare pausa, ma in fondo è solo una sigaretta e gli altri, ignari, si lasciano trasportare.

Da lì in poi è una continua escalation. Il criticone prima critica il genere, che egli reputa troppo poco ballabile e commerciale, ma per adattarsi ai gusti del pubblico propone di coverizzare un lato b dei Soundgarden quando ancora si chiamavano "Pippo e i suoi fratelli" inciso nel 1982 su tre assi di legno e trovato per caso in soffitta dalla nonna di Chris Cornell (e la cui composizione è attribuita da Cornell alla nonna stessa). Vano qualsiasi tentativo di convenire ad un significato comune di "commerciale".

Poi il criticone insiste sul fatto che il gruppo dovrebbe prendere una svolta: fare pezzi propri perchè le cover ormai sono venute a noia "dopo tutto questo tempo". Inutile fargli notare, anche con l'ausilio del calendario, che "questo tempo" è solo due settimane. Nè è di aiuto che gli si dica che è improbabile che le cover lo abbiano annoiato visto che non ne ha imparata neanche una (delle due che compongono la scaletta).

Niente da fare: l'opera di critica continua e colpisce tutti. Il cantante è troppo uomo per essere una cantante donna; la linea di basso non convince perchè è un pò "così", o "roba-insomma-tipo-peso-ma-non-di-quello-marcio"; la chitarra solista suona troppo alta seppur non la senta mai, e via così.

Nel corso degli anni sotto gli incessanti colpi dei vari criticoni i gruppi soccombono uno a uno. Molti musicisti emigrano con la scusa di posti di lavoro e dottorati inesistenti soltanto per chiudere definitivamente con il proprio criticone e voltare pagina, lasciando così famiglie e amici che non  rivedranno mai più.
Dai 24 anni in sù le persone che suonano iniziano a diventare un bene scarso tanta è la morìa che i criticoni hanno prodotto, con somma gioia solo dei deejay, molti di quali sono ex-criticoni, e che assumono un grado di prestigio superato solo da quello dei direttori d'orchestra.

In questo fosco e avvilente panorama i Distonia resistono stoicamente. O noi o loro.

Il cantante


mercoledì 29 febbraio 2012

Dall'alto in basso e dal basso in alto


"Sono anni che non sono più affascinato dal rock. I suoi canoni sono lisi, la sua struttura è troppo facile per progredire... E' un dato di fatto: il rock mi fa dormire". Così parlò Ivano Fossati nel lontano 1992. E diciamolo pure: aveva proprio ragione.

I rocker si sono illusi che bastasse suonare la chitarra dietro la testa, o fare uno stage diving per ottenere oltre al plauso delle masse anche quello delle élite musicali, ma così non è stato. Certo, sono attività che richiedono un buona dose di allenamento, ma che non rendono il rock abbastanza "difficile" per poter diventare musica con la "M" maiuscola.
Come poter impreziosire questa musica tribale e far sì che sia, sennon proprio colta e complessa, almeno un pò meno plebea? Uno stuolo di cantastorie, musicologi e liutai, assieme ai Distonia, hanno unito le loro forze per arrivare ad una qualche soluzione:

Uno dei nodi centrali di tutta questa faccenda è certamente la chitarra elettrica. Uno strumento barbaro che poco si distingue dai giocattoli della "Chicco": i puntini raffigurati sulla tastiera fanno da riferimento nell'esecuzione e sono pure simpatici da vedere, e non è un caso che i più burloni vi disegnino al loro interno delle faccine. 
Un modo per rendere il suo utilizzo un pò più complicato potrebbe essere quello di togliere il quarto tasto e lasciare così le due parti dello strumento attaccate l'una all'altra solo dalle corde. A questo punto anche il punk piu becero richiederebbe anni e anni di esercizio: la mano sinistra oltre a premere le note dovrebbe infatti faticare a tenere le due parti dello strumento perfettamente allineate, in modo tale da permettere la tensione delle corde.

Al basso invece si rimproverano soprattutto quelle enormi corde così grandi e quindi così facili da suonare che le suonerebbe anche un barboncino; una semplicità che giocoforza induce a comporre linee semplici, che quasi mai coprono cinque, sei o dieci ottave.
Si è così pensato di aggiungere un'altra quarantina di corde, dando vita ad un manico che sarebbe grande almeno quanto due tavole da surf, e che il bassista suonerebbe con mani e piedi. Per farsi un'idea si può guardare cosa fa Flea nel video di "Otherside".

Certo, nulla sembra impossibile da rimediare fino a che non si arriva a trattare la "batteria". Il solo nome evoca un'attività percussiva più consona alla vita lasciva della giungla che a quella del mondo civilizzato, e spinge a richiederne un radicale ripensamento. Ripensamento volto soprattutto a cambiare la persona che la suona.
Il batterista potrebbe essere quindi cosparso di miele mentre a pochi metri di distanza viene sguinzagliato un orso. La difficoltà di lottare per la sopravvivenza e continuare a suonare sarebbe una prova di coraggio che risveglierebbe l'umanità di questi biechi individui. Ciò magari non li renderebbe dei musicisti, ma perlomeno non sarebbero più dei vili al soldo del diavolo.

Il cantante

La foto di questo post proviene dalla voce "Ursus arctos middendorffi" di Wikipedia